domenica 28 settembre 2008

amore tramutato in ira e AMORE che dà la vita

Editoriale da Avvenire on line
LÀ IN RIVA ALL’ARNO
BUIO MONUMENTO ALL’AMORE TRAMUTATO IN IRA
DAVIDE RONDONI
Come ha fatto Simone, dopo aver po­steggiato la sua auto in riva all’Arno, a uccidere a martellate i suoi piccoli di 7 e 5 anni? Erano una bambina e un bam­bino. Poi si è dato fuoco insieme ai loro corpi. Come avrà fatto, pensiamo, stor­diti, mentre leggiamo una cronaca fred­da e tremenda di liti con la compagna e madre dei due, di annunci fatti per te­lefono a parenti che, con chissà quale magone e terrore, si sono messi a cer­carli, di case popolari a Pisa, proprio nel­le zone del conte Ugolino che Dante ri­trae divorare i suoi figli...
E viene la tentazione di lasciare là, fissa e perduta nel suo smalto terribile questa storia. Questa ennesima vicenda di san­gue innocente sparso per rancori di a­manti, o di sposi sperduti in un delirio. Verrebbe da distogliere lo sguardo, per non voler nemmeno immaginare cosa sia accaduto dentro l’auto parcheggiata come per una gita. Per non pensare ai due innocenti, che avevano diritto a vivere, a non esse­re sacrificati alla rabbia di un amo­re andato in malo­ra. Avevano solo 5 e 7 anni.
Cos’è un bambino a quella età, come puoi colpirlo? Ver­rebbe da lasciare quell’auto par­cheggiata tra le nebbie della follia, dire solo: sono co­se da pazzi. E di­stogliere lo sguardo, il cuore, per non mo­rire di pena, e di scandalo contro il cielo che, come l’Arno indifferente lì vicino, sembra esser restato lontano da quei due bambini. Invece no, guardare si deve. Non fare finta che queste cose appar­tengano a un altro pianeta da quello in cui siamo, non fingere che non c’entri­no mai nulla con le cose che viviamo di solito. Lasciare quell’auto tra le nebbie della nostra indifferenza sarebbe come condannare ad un’ultima, estrema inu­tilità il sacrificio dei due bambini. Per­ché chiunque di noi sa che c’è sempre un rischio: di distruggere il bene in no­me dell’ira. Di cancellare quel che c’è di buono in un rapporto – d’amore o ami­cizia – a causa di una rabbia, di un ran­core, di un 'aver ragione contro' l’altro. C’è sempre il rischio di 'fare fuori' il be­ne che c’è stato in nome della difficoltà o del dissidio presente. Il rischio di esse­re violenti contro il bene che c’è o che c’è stato, in nome del dissidio presente.
L’auto di Simone, padre colpevolissimo e tristissimo, padre fattosi carnefice, creatore del proprio inferno e anch’egli, però, da compatire come si deve com­patire chi perde la mente, e i suoi due figli, compongono ai nostri occhi una immagine tremenda di ciò che rischia­mo e siamo anche noi, e non di rado. So­no, in quell’auto parcheggiata sull’Arno, il dolente e buio monumento all’amo­re che si tramuta in ira. All’amore che di­viene il suo contrario, quando le prove della vita non sono affrontate con la for­za del perdono o della pazienza. Con le forze dell’amore che non cedono alle forze del possesso e dell’egoismo. Il cie­lo e l’Arno non sono indifferenti a que­sta tragedia. Il cielo parla sempre, con segni e suggerimenti, nei cuori degli uo­mini, ma noi possiamo decidere di non ascoltare. Avrà parlato anche a Simone, ma lui ha scelto di ascoltare per mesi, forse per anni l’ira che in lui cresceva. Ha deciso di nutrire quella – fino a di­venirne pazzo schiavo – invece che a­scoltare il cielo. E l’Arno, dolce fiume di Toscana, ha di certo dato agli occhi dei due piccoli l’ultima bella luce che han­no visto. E ha raccolto le loro lacrime, le ha portate al mare. E al cuore di Dio, mare dei mari, dove il tempo breve e sorridente dei bambini diventa eternità. Quel cuore che è l’unico posto dove la pena immensa di averli persi può chie­dere di non ammattire.

La scelta di AMARE