martedì 25 settembre 2007

LA PROLISSITÀ

logo Mattutino a cura di G. Ravasi (oggi cedo a lui la parola _Jo)


L'arte dello scrivere è omettere, omettere, omettere.
Prima che a scrivere imparate a pensare.
Devo confessarlo io per primo: nella mia vita ho scritto un piccolo oceano di parole e qualche volta mi propongo di entrare in quel silenzio che diventa purificazione e dieta dell’anima. Anche perché, prima o poi, sarà la natura stessa a condurmi a quell’orizzonte di quiete, attraverso la vecchiaia, la debilità della mente e l’allontanamento dei lettori o degli ascoltatori. Oggi, però, non voglio parlare solo a me stesso, ma un po’ a tutti, anche a coloro che al massimo hanno scritto solo i temi in classe, quand’erano alunni, o qualche lettera. Innanzitutto assegniamo la paternità alle due frasi che ho citato: la prima è di uno che sapeva scrivere e bene, Robert L. Stevenson, sì, l’inventore ottocentesco del dott. Jekyll e di mister Hyde o dell’Isola del tesoro; l’altra è del poeta francese del ’600 Nicolas Boileau.
La lezione valida per tutti è una sola: bisogna essere attenti al rischio della verbosità, della prolissità, dell’eccesso. Certo, questo vale innanzitutto per i predicatori e gli oratori che spesso danno in lunghezza ciò che non sanno in profondità. Ma c’è anche una chiacchiera comune che diventa prevaricazione e indiscrezione. Non si dice di essere laconici e taciturni sempre, ma guai a scivolare sulla china dei logorroici e dei parolai. In quel fiume grigiastro, da un lato, spesso s’annida la serpe di una parola sbagliata o cattiva, e d’altro lato, si manifesta – come dice Boileau – l’assenza di pensiero. La sobrietà è una dote della vita ma anche del linguaggio.